mercoledì 9 dicembre 2009

TERRANOVA "trovata"


All'inizio di ottobre un viaggio a Terranova non puo' certo trovare il sole.Eppure a tratti compare ,illuminando di un azzurro freddo e tagliente un Atlantico tempestoso , o incendiando una collina con i rossi e i gialli degli alberi come solo nei libri abbiamo visto, e sempre con un misto di entusiasmo e di sospetto che essi fossero un'abile manipolazione del fotografo. Terranova e', al pari di Samarcanda, Timbuctu,Pechino,o semplicemente Roma,un altro di quei posti dove l' immaginario si fa pietra,albero, collina,dove i nomi hanno piu' valore dei segni dell'uomo.
Uno di quei luoghi dove non sappiamo esattamente cosa aspettarci ,ma che racchiudono proprio nel solo nome il fascino della storia e del viaggio.
In inglese Newfoundland possiede pero' quel participio "trovata", o piu' banalmente "scoperta" che manca nell'antica denominazione europea dove solo il "nuovo' le da' una connotazione propria .
Come se l'arrivarci non avesse importanza .
E non e' nemmeno la copia 'nuova' di una Scozia, di una York, di una Olanda gia' viste e conosciute, quelle originali, quelle europee, antiche e gia' in fondo rispettabili.
E' solo una Terra Nuova, senza una identita'. Newfoundland invece si apre a quanti vi sono arrivati attraverso l'Atlantico, attraverso la nebbia, anche attraverso le interminabili pianure del continente alle sue spalle. Come se la fatica di tutto questo "trovarla" non volesse essere dimenticata nel banale rimpianto linguistico di un'altra terra "nuova" al di la' .

Credevo che Terranova fosse un'isola come la Corsica, invece la scopro grande quanto l'Inghilterra, coperta di foreste e di laghi,non solo di scogliere battute dalla nebbia.La scopro coloratissima nelle case di Saint John's e stranamente anarchica nella disposizione urbanistica dei piccoli villaggi sulla costa.Scopro piccoli oggetti di gusto raffinato in un minuscolo museo sulla colonia seicentesca di Avalon ( che credevo ahime'un castello fatato nelle nebbie della Scozia).
E per la prima volta mi ritrovo in una di quelle colonie di migliaia di uccelli aggrappati a una scogliera grigia, tra la nebbia e l'oceano.Non i colori, non il salmastro della nebbia,non gli improvvisi squarci di sole e di azzurro, ne' la bellezza davvero incontaminata del paesaggio:ma il rumore, il suono di quella massa infinita di uccelli bianchi con la testa gialla e il becco azzurro.Un suono continuo, stridulo, acutissimo che sovrasta il rumore delle onde,il vento,la pioggia e che cessa all'improvviso appena dal sentiero sparisce la scogliera, ma che, nei suoi ritorni,riprende assordante, stridente.Una voce che si impone,muta, si distende e che si frantuma, appena porgiamo l'orecchio con attenzione, in mille suoni diversi, ma della stessa voce.
Un mondo compatto, diverso,estraneo.