domenica 24 giugno 2007

L'ALTOPIANO


Non avevo mai visto un cielo cosi' grande e cosi' rotondo.
Gli altopiani centrali dell'Anatolia erano un mare di rocce e di erba secca in cui ero stato inghiottito chissa' in che punto del viaggio.
Il cielo incombeva su tutto e la terra era come limitata a dove poggiavano i miei piedi.Un senso di stordimento e di vuoto,quasi di essere schiacciato , ma nello stesso momento l'intuizione del potersi sollevare in alto in un qualche modo .
Una vecchia fotografia in bianco e nero che mi riporta, decine di anni dopo ,gli occhi umani di quella capra che mi fissavano ancora e il vento profumato che mi gettava i capelli in faccia.

Per anni a venire quella porta che si era aperta mi faceva ripetere: quando tutto manca, voglio fare il pastore in Anatolia!
Giacomo L. sarebbe stato contento, ma forse come lui, non avrei resistito al puzzo delle pecore e ai sassi sotto la coperta....quando si e' giovani il mondo appare molto piu' sopportabile e fascinoso...anche un mondo nuovo.

Ma la sensazione di quella sera sta ancora tutta nella vecchia fotografia, madeleine in bianco e nero certamente.

giovedì 21 giugno 2007

ANATOLIA CENTRALE


DA UN DIARIO DI VIAGGIO-4 agosto 1971 (avevo 23 anni)
".....Arriviamo a Yozgat verso le cinque del pomeriggio.Il sole e' gia' basso;l'aria pulita,la polvere nelle strade e' gia' azzurra.Sembra un pomeriggio di gennaio dalle nostre parti quando il cielo e' limpido e il vento freddo spazza le strade.
Attraverso la grande vetrina di un ristorante alla buona,una coppia di minareti si alza da una cupola nera;le case sono basse, semplici,dalle linee pulite.La grande strada fuori e' piena di gente che non fa niente.Se ne sta seduta sui marciapiedi,al bar, chiacchierando poco e gurdandosi in faccia.Ogni tanto una folata di vento fresco alza una piccola nuvola di polvere che diventa subito dorata.Lontano delle montagne brulle.Dei ragazzini ci guardano sorridendo al di la' del vetro.Sono faccine rosse, dagli occhi piccoli e sorridenti...Saliamo verso le montagne.Il sole scende molto lentamente in un tramonto che sembra non avere fine.Per tutta la salita e' un susseguirsi di ocra,bruni,dorati,rosa e gialli.Su tutto un cielo aperto, immenso ;grosse nuvole vi si perdono immobili e pesanti.Tutte le linee sono curve,ogni pietra, ogni profilo, ogni cespuglio appare come disteso, esploso,aperto....un paesaggio che pare sul punto di contrarsi,espandersi e aprirsi.E' una sensazione enorme di movimento quella che provo, eppure "sento" l'immobilita' spaventosa di ogni pietra ,di ogni filo d'erba, di ogni nuvola.Erba secca,giallastra e dura.Il sole e' basso, finalmente.A ogni curva l'orizzonte si allarga,le montagne scendono verso il basso e si aprono nuove valli aride e brulle.Su una parte,sui sentieri bianchi coperti di polvere azzurra,nell'ombra, capre e pastori ci guardano assolutamente indifferenti passare sul sentiero sassoso....compare qualche campo lavorato...a un tratto un cigolio ,uno scricchiolio ci viene incontro.A una curva incontriamo un carro di fieno trainato da due buoi,con le ruote a disco pieno e il giogo posto sul collo delle bestie.Quel cigolio risuona per chilometri e chilometri sempre piu' forte. Arriviamo a Buiakkale con i carri di fieno al ritorno dai campi....all'improvviso si apre davanti a noi la piazza.Tutto intorno case basse,tutte bianche,i tetti di tegole scure, La porte e le finestre aperte al fresco della sera.la gente passa lentamente tornando dai campi.I carri a ruota piena, le capre, i branchi di oche, le vacche e le pecore,tutti insieme tornano a casa.Si sente odore di stalla,di fieno, di legna accesa.
C'e' un silenzio strano,solo qualche muggito e qualche raglio,non ci sono grilli o cicale.Il rumore dei passi sulla salita e' chiaro e distinto.Un piccolo albergo, l'Atila Hoteli ,di proprieta' di un piccolo orfano, ma gestito da tutto il villaggio che si preoccupa del suo futuro.Abbiamo una piccola camera tutta di legno con una finestra dai vetri impiombati che da' sulla piazza.Ci riempiono un lume a petrolio e ci indicano il bagno, comune a tutto il villaggio, in un angolo della piazza.Non ci sono letti .Stendiamo a terra qualche coperta e usciamo a fare una passeggiata.Saliamo per strette stradine lastricate di pietre grigie e lucide.Di tanto in tanto si apre una porta , su una stalla ,su un cortile dove un mucchio di fieno giallo, una vite verde su un muro danno un violenta nota di colore a quel paesaggio che diventa sempre piu' in bianco e nero.La gente sorride, ma brevemente,un gesto di saluto e poi torna alla sua serieta'.Una gravita' senza preoccupazione, una serieta' non forzata da una vita di stenti,ma innata, antica,che rende ancora piu' prezioso, me ne rendo subito conto,quel sorriso.La salita prosegue ;una fontana versa nelle brocche in fila dell'acqua gelata per la cena.Arriviamo a un grande spiazzo,su,in cima al colle,sul paese.Intorno montagne e valli si fanno d'un azzurro sempre piu' cupo.La spianata e' piena di carri,di buoi, di mucchi di grano e fieno.Delle donne battono il grano vicino a uno stagno, con delle lunghe pertiche.Dalla collina vicino sta sorgendo una luna piena enorme,luminosa.Un ragazzino sporco e cencioso mi offre un coccio. Un frammento ittita con una testa di cavallo.Qualche moneta ed e' mio....ci offriamo di aiutare a caricare un carro, ma un gesto maldestro e G. viene colpito sulla bocca da un forcone. sanguinante torna in albergo. Resto solo tra l'ilarita' generale suscitata da ogni ripetizione ,ai nuovi arrivati, del racconto dell'incidente e della fuga precipitosa del mio amico.Mi mostrano una moneta: e' romana e per non deludere il ragazzo che me la vuole vendere gli chiedo di portarmela in albergo per guardarla meglio....il corteo si mette in marcia.Dopo pochi passi al lume della luna,il paese non ha elettricita',mi viene offerto un asino.Ci monto e questo vola verso la fontana.Travolto dalle risate di tutto il villaggio il povero turista, capitato chissa' come lassu', riprende la su passeggiata.Mi fanno capire a gesti che li' arrivano solo dei commercianti, una volta alla settimana e che per uno ,due mesi, alcuni archeologi lavorano ogni anno a ripulire le mura della citta' .Hattusas e' ancora sepolta dal tempo.
In stradine buie,in cortili bianchi illuminati ormai da una luna piena che trionfa su tutto,in stalle che cadono in rovina,alla luce di una lucerna ad olio portata da una ragazzetta con le trecce che si tiene in disparte,in un silenzio fresco e profondo, passano per le mie mani vasi e tavolette di argilla, figure di re e di guerrieri,citta',torri e porte,iscrizioni e figure di dei morti da millenni.Un mondo sepolto esce dalle stalle ,dai cenci e dalla paglia in cui era stato nascosto,per brillare un attimo alla luce della luna nelle mie mani.Tremo dall'emozione.Passo le dita su un pezzo di vaso di pietra a figure di guerrieri.Un dio mi guarda da un sigillo di terracotta su cui i secoli non hanno potuto cancellare la sottile corona di foglie che lo circonda.
Torno all'albergo, dove per un po' contratto il dio circondato dalle fogle.Un lume a petrolio brucia silenziosamente sulla parete di legno scuro.La luna e' alta e il paese silenzioso. Andiamo a letto.Nella stanza accanto russano quelli che il piccolo proprietario ha appena definito dei "mercanti".
Sulla mia testa ,dalla finestra,tra i piccoli vetri piombati appare ancora la luna,frammentata come in un gioco di specchi,immensa, splendida...sorridendo".

martedì 19 giugno 2007

I SOGNI SON DESIDERI?


Avevo quasi vent'anni quando feci il mio primo viaggio in Turchia.
Conoscevo poco del mondo intorno a noi (solamente Londra in effetti, come si "portava" a quei tempi e dove avevo fatto,ovviamente, il cameriere per un'intera estate prima di iscrivermi ad architettura).
Per mesi pero' avevo letto la Storia della decadenza e caduta dell'impero romano di Gibbon (c'e' niente di piu' snob da dire di avere letto?) e finanche il cerimoniale di corte di Costantino Porfirogenito in una terribile traduzione greco-latino aveva avuto infiniti pomeriggi della mia attenzione in una Biblioteca quasi sempre deserta....
(al liceo non ero bravissimo "avrei potuto fare molto di piu'", ma il latino lo capivo bene...anche senza vocabolario a volte, come si usava a quei tempi di insegnanti che ci facevano tradurre dal greco al latino e viceversa e dove anche i peggiori della classe ricordavano a memoria intere pagine dell'Eneide)
Anche quello un mondo nuovo ma gia' perduto che mi affascinava.
Arrivai in Turchia in piena estate, con una cinquecento carica di bagagli e due amici.
Quando vidi le mura di Istanbul, o ,come preferivo chiamarla allora, Bisanzio, mi vennero le lacrime agli occhi.
Un ragazzo cosi' sensibile!
La citta' mi impressiono' molto, ma conoscevo poco del mondo intorno a noi.
La sua aria di grande accampamento precario che si aggrappava a poche pietre fisse( santa Sofia, il ponte di Galata,la moschea blu) mi piaceva, mi piaceva quel senso di abbandono delle cose , di sorriso ironico sul mondo .
un ragazzo davvero intellettuale allora!
Restai affascinato da tante cose ....una delle mie fotografie preferite mi fu fatta sul vecchio ponte di Galata, quello su cui secoli fa c'erano terribili ristorantini e tanti caffe' tra i pedoni e le macchine....ci passavano ancora i cavalli e i muli.....

Siamo sicuri che oltre la sponda non ci sia ancora l'impero ottomano?

A volte una foto, brutta, insignificante,ha lo strano potere di fermare il tempo e con esso l'intensita' dei desideri.
A volte in immagini sbiadite si aprono delle porte verso mondi nuovi ,porte che restano stranamente aperte nello scorrere del tempo.
Per anni il mio desiderio piu' grande fu quello di fare il cameriere in uno di quei caffe'....e guardare il sole tramontare sui minareti di santa Sofia,ogni sera.