domenica 23 dicembre 2007

VISI PALLIDI E VISI ROSSI



L'altra stranezza di questo paese sono gli indiani; lontani da ogni tipo di stereotipo sia quello del buon selvaggio sia quello del fiero guerrirero,sia quello, fortunatamente per loro, dello zingaro ubriacone e ladro.
C'e' ovviamente di tutto, ma quello che colpisce e' una apatia diffusa, uno strascinare i piedi,un parlare lentissimamente.
Quando ricevono informazioni, dal posto da prendere in autobus ai documenti da presentare in un ufficio, guardano nel vuoto, proprio come nei film di cow boys quando la tribu' viene alla fine costretta a lasciare il paesello nativo e a incamminarsi nel deserto e le donne del forte, commosse, cercano lo sguardo delle vecchie amiche le le hanno lasciate.
Quello che sorprende e' piuttosto il loro carattere fisico, a meta' strada tra uno zingaro cinese e un mongolo africano;decisamente qualcosa di lontano dai canoni rinascimentali, ma anche da quelli barocchi della "sorpresa a tutti i costi".
I canadesi hanno nei loro confronti dei pesanti sensi di colpa (e che dovremmo avere noi con tutto quello che ha fatto l'impero romano allora?) e a differenza degli spagnoli e dei vicini nordamericani che se ne fregano degli indigeni, hanno messo su tutto un sistema (a dir la verita' un poco esagerato) di esenzioni fiscali, privilegi abitativi,scolastici e di trasporto.
L'ultima novita' e' stato il notevole rimborso che ogni nativo (guai a chiamarli indiani qui...!L'India e' altrove!) che sia stato costretto a frequentare una scuola di indirizzo religioso tra il 1900 e gli anni quaranta potra' richiedere allo Stato spingendo cosi' un fiume di denaro all'interno delle riserve.
Queste scuole, dei veri e propri collegi erano sorte in effetti per cancellare la memoria storica delle varie tribu' sotto la scusa della istruzione per tutti.Alcune scuole erano dei veri e propri lager, ma altre hanno contribuito a formare le basi di quelle famiglie native che vogliono a tutti i costi l'integrazione con la societa' nordamericana.
L'atteggiamento generala e' quello di una certa condiscendenza, ma se ne potessero fare a meno credo che i nativi verrebbero semplicemente ignorati...un po' come gli esquimesi che pero' hanno il grande pregio di essere pochi e rivendicare un pezzo di ghiaccio che (per ora) non vuole nessuno...mentre i nativi delle pianure vogliono le terre che probabilmente sono piene di petrolio.
La solita storia.

lunedì 17 dicembre 2007

PROUST DELLA PRATERIA


Mancava ancora mezz'ora all'arrivo dell'autobus che mi avrebbe dovuto riportare in citta' attraverso la prateria ormai buia.
Avevo deciso di aspettare alla fermata appena fuori dalla piccola citta' gia' deserta nonostante fossero appena le cinque del pomeriggio.
Fermata d'autobus ,tra la neve,cow boys, giacche di pelliccia, caffe' bollente e qualche Marilyn Monroe con gli occhi sbarrati a guardare i fiocchi cadere.Il nordamerica era a portata di mano, ma la mia fermata d'autobus era solo un negozio di ricambi di automobili il cui proprietario sempre troppo occupato a giocare al suo computer a stento alzava gli occhi quando la porta si apriva...ma almeno il caldo era soffocante e una pila di vecchie riviste vicino alla finestra faceva compagnia in attesa che dal buio della curva, oltre gli abeti, comparissero le luci variopinte dell'autobus di linea.
Quella sera invece era un sabato e nonostante il biglietto mi fosse costato il dieci per cento in piu' perche' viaggiavo nel week end destinato al riposo (come Bibbia comanda e con il cielo non si scherza qui ) la fermata era chiusa.Un irritante foglietto sulla porta diceva:spiacenti,il week end il negozio e' chiuso...sottintendendo probabilmente : peccatore!perche' osi viaggiare quando il padre eterno si riposo'? sii punito, e resta nella neve e nel freddo ad aspettare.
ma il padre eterno non si riposo' la domenica? e il sabato allora che c'entra?
Un po' preoccupato per l'assenza di altri sventurati viaggiatori, con lo strisciante dubbio che non ci fosse addirittura la corsa per lo stesso motivo, decisi di camminare tutto intorno al paesello,tanto per non ghiacciarmi del tutto.
Dopo poche vie l'illuminazione si faceva piu' rada e la neve intorno cominciava a sembrare piu' bianca.
A un tratto, quasi all'improvviso ,una pagina di Proust.
In uno dei punti piu' belli della Recherche Marcel si trova in Normandia e vede in un campo una massa di meli in fiore.La spuma leggera che copre i rami viene smossa dal vento a tratti e una polvere bianca di petali fluttua intorno.
Sullo sfondo nero della prateria, senza una luce a dargli profondita',come un telo oscuro a fondale di un palcoscenico ; le quinte formate da alberi alti, coperti da quella stessa spuma leggera e sottile dei meli di Proust.
Qualche folata di vento ne faceva cadere una polvere sottile,scintillante.
Sull'asfalto oscuro ,ma di un nero meno intenso,meno profondo,correva come un velo sottile,strappato, agitato,diviso e ricomposto;come il fumo bianco e leggero ,mai troppo denso e pronto ad aprirsi al minimo movimento del mantello di un attore che su un palcoscenico attraversa la solita palude in attesa della comparsa del solito fantasma, il vento leggero giocava con la polvere di neve.
Un senso di teatralita' semplice, ma di una leggerezza da lasciare senza fiato.
Il silenzio rotto solo dai miei passi sulla neve,troppo rozzi,troppo rumorosi.
Un mondo di fate e di teatro che basta il passaggio di una macchina a far scomparire e una giornata di nebbia nell'inverno nordico a far comparire di nuovo

giovedì 29 novembre 2007

DOMANDA:MA FA FREDDO DAVVERO?


Camminavo per la citta' semideserta ,fatto segno degli sguardi sbalorditi degli occupanti le macchine che sfrecciavano sulla strada coperta di neve.Qui quasi nessuno cammina a piedi d'inverno.
Trentasei gradi sotto zero, un cielo azzurrissimo e un sole sfolgorante.Fortunatamente il vento era quasi caduto e si riusciva a respirare.
Attraversavo un piccolo parco deserto. Gli alberi spuntavano dalla neve senza orme.In alto qualche raro branco di oche ritardatarie fuggiva verso il sud in un'ampia V vibrante di ali.In pieno centro non c'era un rumore,anche le macchine sembravano correre in punta di piedi, come i ballerini dell'Opera di Pechino....
Non si puo' dire che sembrava di essere ai tropici: ogni sorso d'aria entrava dritto fino allo stomaco e lo paralizzava per un secondo.Ma in fondo non faceva freddo: canottiera di cotone, camicia di flanella, pullover e piumino, aggiungiamo guanti e un cappello imbottito con la pelliccia di un povero coniglio...qui (nel paese della Hudson Bay Company, dei cacciatori di pellicce e di tutta la nostra letteratura ottocentesca di scambi con gli indiani e castori sulle dighe, e orsi e visoni selvaggi e Zanna Bianca e la prima pepita di paperon de' Paperoni e il Klondyke e la caccia alle foche)) e' raro vedere altre pellicce e anche i conigli sono considerati con fin troppo rispetto...pochi li mangiano (ai supermercati sono introvabili) indossarli e' quasi sinonimo di barbarie...ma si sa, la vecchia Europa e' luogo di vizi innominabili.
ah, dimenticavo un pantalone di cotone imbottito di flanella, scarponi e calzettoni di lana.
Ero fermo al solito semaforo desolatamente aspettando l'arrivo del verde o almeno di una macchina che mi passasse davanti (qui tutti si fermano per minuti interi davanti a una strada desolatamente vuota a perdita d'occhio, anche nella tempesta piu' siberiana immaginabile,in attesa del verde del semaforo....)
Ero in attesa anch'io, cercando disperatamente di trattenere la mia indole europea, per non parlare di quella napoletana che, dopo avermi dato subito del cretino, si era rintanata probabilmente nei calzini,quando una signora mi si e' affiancata. Trent'anni, carina.Un paltoncino striminzito e da piccola fiammiferaia,ma certamente non economico: il cappuccio alzato.pantaloni e guanti. Tremava dal freddo e imperturbabile aspettava che una macchina passando giustificasse quell'attesa nella tempesta di freddo.
Batteva i piedi poverina.
Poco dopo ,finalmente attraversata la strada sempre desolatamente deserta, un ragazzo incrocia il mio lento zigzagare sulla neve del marciapiede per evitare di scivolare di botto (difficilissima impresa per chi e' abituato agli scalini di Capri: meno per chi sopravvive ai vicoli di Napoli).
Pantaloni di cotone,scarpe da ginnastica, una felpa sottile verde aperta su una t-shirt di cotone bianco.
Tutto il resto di un uniforme viola melanzana (faccia, mani,collo) per il freddo.
Il poverino camminava stringendosi le braccia al petto, ma ben guardandosi dal chiudere la felpa o tirarsi su il cappuccio....
Alquanto perplesso, e credendo di avere incrociato un povero vagabondo destinato a morire in quella stessa notte sotto un ponte ,entro in un centro commerciale.Travolto da un'ondata di calore subsahariano e da una marea di effluvi di grasso e di fritto dalle decine di shop mangiarecci, avanzo barcollando ,togliendo qualche indumento, aprendo, arieggiando mano a mano che mi avvicino alla scala mobile.
E proprio li' rivedo la signora del semaforo. Desisamente ben pettinata, due bei gioielli, costosi e poco appariscenti,una borsa firmata (vera, qui non si concepisce il "falso da bancarella"), nessuna scia di profumo (e' consderato socialmente pericoloso indossare un profumo in luogo pubblico...e se si incrocia qualcuno che e' allergico? Nei teatri all'ingresso vi invitano a non mettervene addosso...a meno che non sia "organic"!! Lo sara' lo Chanel n.5?)
Insomma una signora bene.ma...ma con solo un mini top che le copriva a stento il seno....
Domanda: ma fa freddo davvero in questo mondo nuovo , o questi canadesi che non fanno altro che lamentarsi del freddo polare di queste regioni, sono solo degli scemi che vanno in giro come in piena estate o quasi e credono che basti una felpina per resistere a 36 sotto zero?

lunedì 26 novembre 2007

LA CASA DEI TRE PORCELLINI



I mondi nuovi a volte si nascondono anche dietro un parato a fiori nelle piccole case della prateria.
Stavo lavorando con furia per non sentire i meno trentasei gradi di puro gelo che invadevano la stanza .A tratti uno sbuffo di neve riusciva a superare la fragile barriera di legno che chiudeva una finestra appena divelta e non ancora sostituita.Il riscaldamento rotto, il vento nel vero senso polare facevano il resto.Ero alle prese con un muro ,se si possono chiamare cosi. questi sottili tramezzi di legnetti inchiodati con dei chiodi che fanno impallidire quelli del Golgota.Una carta rosa antico a piccoli mazzetti di margherite bianche dava un aspetto civettuolo e tutto anni quaranta alla scena.Fuori un sole pallido nel cielo azzurro riverberava su un gruppo di nuvole grigiastre riflettendosi in un arcobaleno circolare e tripicandosi come in un film di fantascienza.
Tolto il parato compaiono le sottili tavolette di cedro rosso.La stanza si riempie di un profumo orientale, esotico, stranamente fuori luogo con la neve che si vede oltre la finestra.
La sbarra di ferro comincia a rompere impietosamente: bisogna mettere, nello spazio tra le due sottili intercapedini, un isolante dal verde spento, fatto bruciando a una temperatura assurda una roccia locale. A quella temperatura la roccia fonde e se ne ricava una specie di zucchero filato (quello che oggi si vende solo nelle buste di plastica, ma che ancora ha tutta l'appiccicosita' della mia infanzia) che, compresso in soffici matasse impedira' all'aria fredda di entrare nel sottile guscio di legno profumato.
La casa risale agli anni venti, probabilmente una piccola fattoria perduta nella prateria: i coloni li immaginiamo sempre come qualcosa dell'ottocento, mentre invece appartengono al nostro secolo, come la Bella Otero, la sagra della primavera,Picasso e Coco Chanel.
Negli anni sessanta la piccola fattoria era stata trasportata nella cittadina lungo la ferrovia :nuove finestra aperte,un riscaldamento rozzo ma efficace messo in opera, senza tanto badare alla struttura portante ,minata in vari punti.
Qualche muro era stato rifatto, qualcuno no. ma forse era una casa per le vacanze, perche' l'isolamento termico non era stato preso in considerazione.....
Ed eccolo il vecchio isoalmento, fare capolino tra le assi spaccate ai miei piedi.
Un miscuglio di fieno ancora profumato, penne di uccelli,giornali arrotolati,qualche sacco per la farina.
Poi, un foglio di libro,non piegato, svolazza sul pavimento.
ultima edizione:1929, e una poesia su un uccello che cerca il nido.
Capisco poco dell'inglese poetico e fa troppo freddo per fare il romantico.
La casa di carta e paglia, come quelle dei tre porcellini,mi aveva dato il suo messaggio.Lo richiudo tra i muri per ora ,tra lo zucchero filato che sa di roccia .per oggi basta, il sole sta scendendo sulla prateria coperta di neve.

sabato 10 novembre 2007

WONDERLAND


Strano paese questa citta' persa nella prateria canadese. A stento centottantamila abitanti ma sparsi su una superficie piu' grande di quella del solo comune di Napoli.
Il piu' grande parco urbano del mondo ,il lago letteralmente "scavato" piu' grande, il ponte piu' lungo sul corso d'acqua piu' corto, 1|6 della popolazione di tutta la provincia (grande tre volte l'Italia),una temperatura che d'inverno arriva ai meno 45 e strade assolutamente vuote di pedoni, anche nelle ore di punta...ci si saluta ,come nei nostri paesi, quando si incrocia qualche altro temerario che non usa la macchina.
Le case sono di legno, come quelle dei libri sul nord America, e anche quelle brutte e abbandonate ai nostri occhi hanno il fascino dell'esotico.
Alberi e parcheggi non si contano....ma i negozi sono pochi e tutti disperatamente aggrappati alle decine di enormi centri commerciali che sorgono alla periferia ; nel centro si va solo per uffici o a visitare quei pochi sfortunati che ci vivono in preda all'inquinamento...( la provincia e' al primo posto al mondo per la pulizia dell'aria e pur producendo la maggiore quantita' al mondo di uranio ,si e' rifiutata di avere centrali nucleari sul proprio territorio....).
Quando i quartieri residenziali finiscono e gli alberi si fanno radi nella pianura, compaiono molti edifici, che a prima vista sembrano scatoloni abbandonati...e alcuni lo sono...alcuni sono in mattoni, dei primi del secolo,altri in cemento, altri in un miscuglio di legno, pietra, plastica e alluminio non facilmente definibile come architettura umana, quanto piuttosto come casuale agglomerato di materiali.
Niente finestre, solo una porta che si scopre a volte dopo avere girato intorno all'edificio piu' di una volta. Un grande parcheggio e' l'unico segno che la identifica.
L'aspetto generale e' povero ,quando non addirittura deprimente.
Eppure molti di questi posti sono dei mondi affascinanti che letteralmente ci inghiottono solo se si varca quella soglia ,solo se non si vanno a cercare le luci e la folla (si fa per dire) dei centri commerciali.
Ne ho incontrato uno ,per caso, e non riuscivo piu' ad uscirne.Mondi assolutamente nuovi, ma fatti delle parti piu' scintillanti di quelli che conosciamo.
La caverna e' immensa: dalla soglia non si distingue dove finisca, in tutte le direzioni.L'unica misura certa e' quella che ancora ci separa dalla misera porta alle nostre spalle.
Davanti si aprono almeno 10 stretti corridoi ,a ventaglio, intersecati da decine di altri.Sembra di essere sull'orlo di una immensa ragnatela oscura.
Scaffali di legno, rozzi per lo piu' si alzano verso il cielo in una improbabile sfida alle leggi dell'equilibrio.
E da essi trabocca, si diffonde, si gonfia letteralmente di tutto.
Uno dei corridoi non ha che decine e decine di scaffali di matassine di ogni colore immaginabile, prima il cotone, poi la lana, poi la seta, poi il lino....le vie trasversali portano a foreste di aghi e montagne di bottoni...divisi per colore, per forma, per materiale : altre portano a ricami gia' fatti ad applicazioni di piume, di coralli , di madreperle...interi settori traboccano di uccelli, di farfalle di legno, di carta, di stoffa: e poi ci aprono le vie delle tempere, degli oli, delle matite e delle carte.Tutto diviso per colore ,un colore che trabocca, esplode dappertutto...
E poi i fiori, di carta, di seta, di plastica..dalle piu' orrende riproduzioni a impalpabili costruzioni uscite da un dipinto giapponese : e ancora i vetri, bicchieri e piatti, vasi e statue e collane e orecchini :e ancora le ceramiche, gli ottoni ci travolgono in questa caverna di Ali' Baba' dei poveri.
E quando credevamo di avere visto ormai di tutto, compaiono le decorazioni di natale da comprare in pieno agosto, le maschere di carnevale, o quei lampioncini cinesi che avremmo sempre voluto ma che non siamo mai riusciti a trovare da nessuna parte...
E poi le fontane di plastica, le statue romane ,i cesti di vimini, le piante di orchidea ,vere ma che sembrano talmente finte che si e' costretti a toccarle per saperlo, e le spezie indiane, i dolcetti messicani, i braccialetti africani....
Ma forse il posto piu' sbalorditivo e' un breve corridoio, fatto di soli 10, 12 scaffali...dove sono esposte le piume. Di fagiano (quelle lunghe due metri che abbiamo visto solo negli spettacoli dell'opera di Pechino e che costano 5 dollari l'una) ,delle di struzzo di tutti i colori e dimensioni, quelle di aquila, di tacchino...ma anche centinaia di altre piume, forse di banali galline, ma colorate cone un dipinto medioevale, con colori intensi, brillanti, e divise in ordinati pacchetti per dimensioni e sfumature.
Piume di colibri' scintillanti alla poca luce dei neon ,e buste immense di ogni tipo di piumino d'oca per il piu' casareccio dei fai da te.E le statuette di Budda di ogni materiale, e le palline di vetro, di carta ,di stoffa, di metallo :e le lampadine e le creme per le mani ,per la faccia, per i piedi :e le cornici e gli attrezzi per la cucina...
E si gira, si gira senza fine spalancando la bocca sempre di piu' per la meraviglia delle cose accumulate, per la loro terrificante banalita' o per la loro stranezza.Oggetti che ci siamo sempre chiesto dove poter comprare o chi avesse il coraggio di comprarli...ma stipati ,accumulati, in una travolgente valanga barocca.

Uscire da una di queste caverne ci fa vedere il mondo vuoto e banale, pur nell'azzurro scintillante del cielo delle grandi praterie.

giovedì 18 ottobre 2007

INDIAN HEAD


Il Mondo Nuovo questa volta si e' aperto in una piccola citta' dello Saskatchewan.
Ci sono finito per una strana combinazione del caso anni fa, alla ricerca di un punto da cui cominciare di nuovo.Ora che sono un vecchio pensionato e che i sessant'anni sono irrimediabilmente alle porte mi sembra ridicolo parlare di "ricominciamenti"...forse e' solo l'inizio della fine.
Arrivando dall'aereo il sole stava tramontando basso e dorato su una prateria vuota di alberi e di case.Come un deserto piu' ruvido.
Nella piccola citta' ,fondata dai pionieri intorno ai grandi elevatori per il grano lungo la ferrovia, nel 1882,le case sembrano essere disegnate per le illustrazioni di un libro, i giardini autunnali ancora pieni di grandi alberi gialli e arancione,l'aria gia' fredda:ma in alto le oche dal lungo collo nero si dirigono a sud e gli ultimi scoiattoli corrono nel giardino raccogliendo le bacche tra le foglie cadute.
C'e' un silenzio profondo.Poca gente in effetti per l'unica strada con negozi tra cui un improbabile ristorante cinese e un idraulico che espone nella vetrina l'elenco dei clienti morosi con i loro debiti e gli acconti versati di volta in volta.
La casa e' piccola ,verso la ferrovia. Dalle finestre si vede uno dei grandi elevatori dei primi del secolo e un grande cespuglio di foglie gialle la separa dalla strada.Oggi il cielo e' grigio e a tratti scende una pioggerella leggera .Non ci sono suoni nell'aria:solo una volta sento il fischio di un treno,ma sembra di essere in uno di quei film degli anni quaranta, quelli sulla grande Depressione.
Che fara' la gente durante il giorno in posti come questo?Forse cucina torte di mirtilli e sogna una casa al mare.
Strano come a volte sia difficile dire a se' stessi che quello che si vuole e' cucinare una torta di mirtilli e stare a guardare una strada vuota ...ma forse bisogna prima essere stati travolti da troppe cose e persone.

mercoledì 26 settembre 2007

SUL PALATINO


Non avevo mai visto le rovine del Palatino a Roma.In un settembre caldo e luminoso ho passato qualche ora tra i soliti muri di mattoni rovinati, pochi resti di pavimentzioni, e turisti,tanti,e nessuno italiano,nessuno.
Irritato per una Villa di Livia (che tanto avrei voluto vedere) chiusa per restauri stavo per andare via quando ho incrociato il Museo del Palatino.
Ed e' stato varcare un'altra delle soglie di cui sto scrivendo.
L'antichita' mi ha sempre affascinato e credo di conoscerla abbastanza da non considerarmi un ingenuo davanti a certe manifestazioni culturali,ma il piccolo museo mi ha lasciato senza parole.
Pochi oggetti ma non uno apparteneva a quella categoria davanti a cui si passa velocemente in un qualsiasi museo travolti da troppe cose.
Eppure le lastre di terracotta del tempio di Apollo ,arcaiche, coloratissime, mi hanno lasciato senza fiato.
Porpora violetto e un azzurro cupo e brillante,niente altro oltre la terracotta grezza.Eppure il tempo si e' spalancato in una frattura stranissima: tripodi,meduse,apollo e le korai tutto secondo uno dei livelli piu' raffinati ed eleganti che abbia mai visto nei musei di mezzo mondo;tutto terribilmente "classico"...eppure, eppure una idea mi attraversa fulminea: non c'e' spazio tra questo e le opere del piu' puro liberty.Un attimo e la storia dell'arte ,il tempo, fanno un salto incredibile senza perdere legami, senza vuoti.
Il tempo , successione di attimi legati indissolubilmente tra di loro, puo' dunque estendersi e contrarsi eliminando alcune sue parti senza che la nostra coscienza se ne renda conto?
Puo' la nostra coscienza ,posta di fronte a una qualche evidenza che superi il concetto di tempo, ignorare una parte di se'?

Come e' possibile che la mia conoscenza della storia e del tempo abbia accettato, anche solo per un attimo, che tutto quello che c'e' tra Augusto,quelle lastre di terracotta e la Belle Epoque, non sia esistito?
Puo' l'arte cosi' facilmente fare a meno dello scorrere del tempo?

martedì 18 settembre 2007

LA GRANDE PIRAMIDE


Circa trentotto anni fa feci il mio primo viaggio in Egitto.L'Egitto classico, quello dei faraoni, del museo del Cairo, della valle dei re...incredibilmente non volli portarmi dietro la macchina fotografica: e' l'unico dei miei viaggi che non e' documentato.Molte volte mi sono chiesto il perche'.
L'episodio che voglio registrare qui mi e' venuto in mente oggi, leggendo uno stupido libro sulla Maledizione del Faraone.Non ci ho mai creduto troppo a queste cose ma quello che provai nella Grande Piramide di Giza fu qualcosa di inquietante...anche se allora ero solo un ingenuo giovane intellettualoide in giro per il mondo.
L'arrivo alla Piramide l'ho sempre considerato uno dei momenti piu' emozionanti della mia vita : avevo preso un autobus ,un normale autobus extraurbano pieno di gente (viaggiavo con pochi soldi ,come ancora faccio ora).L'Egitto di quaranta anni fa era un posto turistico, ma non riesco a ricordare le masse di turisti che vedo oggi a Roma o per le strade di un piccolo scoglio come Capri.Inoltre il Cairo non arrivava ancora ai piedi delle piramidi.La citta' appariva lontana , separata da un pezzo di sabbia giallastra.
L'ultima volta che ci sono tornato, qualche anno fa,vedevo la base della grande piramide dalla finestra del mio albergo di terza categoria...e ci si poteva arrivare in pochi minuti attraversando la strada.Una tristezza infinita.
Allora l'autobus faceva un giro interminabile attraverso la periferia, quasi al confine di campi coltivati e grandi distese di immondizia abbandonata. A un tratto si fermava e tutti si precipitavano fuori:capolinea.
Lo feci anche io.Ma appena misi il piede sul primo gradino per uscire,mi vidi davanti un enorme muro di pietra.Alzai lo sguardo per vedere dove fossi arrivato, ma lo sguardo saliva sempre piu' in alto e il muro sembrava non avere fine.Ricordo che per qualche secondo non i resi conto che ero proprio davanti alla piramide.L'impressione di montagna senza una cima fu soffocante.
La visita continuo' secondo il copione piu' classico.
Quando pero' entrai nella piramide mi ritrovai inspettatamente solo.Non un turista, non una guida, non un custode. Solo la luce giallastra che illuminava il grande corridoio.
Arrivato nella stanza funeraria ,senza fiato per la salita,l'aria calda e umida mi prese alla gola, girai lungo le mura, sfiorai il sarcofago rotto in un angolo .Cercavo di registrare le mie impressioni, ma ricordo ancora esattamente la sensazione di vuoto mentale che mi aveva colto.
Come quando un fatto improvviso, anche se atteso, sembra porci al di fuori di noi stessi. Ci vediamo agire, parlare, rispondere,;l'angoscia ci attanaglia,la paura ci tronca le parole, ma siamo estranei a quello che sta succedendo.Come se fossimo al di fuori di noi stessi. e in fondo non ce ne importasse niente.
Resomi conto di essere solo scrissi con una matita il mio nome su una delle pareti.Ce ne erano molti di nomi intorno e l'idea di lasciare un segno su quelle pietre ,quasi a partecipare della loro eternita' mi intrigava...
E chi non e' mai stato trascinato in una sciocchezza simile?
In me ,ricordo, c'era pero' una consapevolezza diversa. Non approvavo le scritte sui monumenti, ma lasciare il mio nome nella camera funeraria della Grande Piramide, mi sembrava quasi un atto di omaggio a quel passato che tanto mi affascinava.Non pensavo certo che qualcuno lo avrebbe letto.
La Piramide rimaneva vuota.
Uscii.Ero arrivato davanti all'apertura e il sole mi stava gia' facendo chiudere gli occhi quando un improvviso, inaspettato senso di angoscia mi cadde addosso.
Era un senso di paura incontrollabile :seppi che se fossi uscito al sole il mio nome sarebbe stato letto da qualcuno che percepivo ora riempire quello spazio alle mie spalle.
Mi fermai a ragionare: avevo scritto solo,banalmente, il mio nome;un custode non mi avrebbe fermato chiedendomi il passapporto per un controllo.... ma sapevo che era quello che mi avrebbe fatto trovare da qualcun altro.(Ignoravo allora cosa fosse il REN nell'Egitto antico)
Avevo fatto qualcosa di sbagliato,meglio di pericoloso, e mi si dava la possibilita' di rimediare.Non c'erano telecamere allora,non c'erano custodi,era qualcos'altro. Non credo alle entita' fuori di noi, ma il senso di angoscia era improvviso e soffocante.
Per qualche minuto andai avanti e indietro non riuscendo a decidere se riaffrontare la stancante risalita della Grande Galleria.
Poi ,vedendo che restavo ancora, inspiegabilmente ,solo, risalii.
Cercai di cancellare con la mano quelle lettere scritte a matita, ma non ci riuscii.
Allora mi chinai e ci passai sopra la lingua.Avevo la bocca asciutta, il fiato corto.
Il nome si cancello' e quel senso di angoscia spari' di botto.Uscii sollevato ,come dopo un esame andato bene.
Ero stato sulla soglia di un Mondo Nuovo?

domenica 26 agosto 2007

DEFINIZIONI


Non mi piacciono le definizioni ...ma a volte anch'esse aprono porte verso Mondi Nuovi."El respeto al derecho ajeno es la paz"
-la pace e' il rispetto del diritto degli altri-
Benito Juarez - fondatore del Messico moderno

lunedì 20 agosto 2007

APOLLO E DAFNE


I "Mondi Nuovi" a volte si aprono inaspettatamente inondando di una luce del tutto differente i paesaggi a cui eravamo abituati e in cui la nostra mente credeva di essere a suo agio :come se solo allora capissimo veramente cosa stiamo guardando.
All'improvviso si aprono strade e sentieri su cui personaggi, immagini,idee corrono come Dafne inseguita da Apollo alla ricerca di quel momento in cui nulla e' ancora chiaro ma in cui la possibilita' di avere finalmente trovato un perche' alle cose o semplicemente di avere intravisto la trama dell'arazzo di cui non si comprendeva il disegno, ci fanno gridare quell' "arrestati sei bello !" di faustiana memoria ....la conoscenza profonda.
Non ero mai stato a vedere il Museo di Villa Borghese.
Un pomeriggio romano vuoto, in attesa di una visita medica, mi ci ha trasportato .
Attraverso le sale passavo da Caravaggio a Canova senza eccessivo entusiasmo. Conoscevo gia' tutto quello che vedevo e a volte trovavo l'originale inferiore all'immagine che me ne era stata data da libri e televisione.
(quel "che bello! sembra finto!" che cosi' comunemente oggi e' diventato il metro del nostro giudizio...)
All'improvviso, inaspettati, mi trovo alle spalle di Apollo e Dafne e della loro storia...e la porta si spalanca.
Una luce bianca, lattea, attraversava le foglie trasparenti in cui si stava mutando davanti ai miei occhi la mano di Dafne.Il mantello di Apollo era una massa di lame taglienti accartocciate dal vento.
Spariti i turisti intorno, le dorature della sala,il caldo asfissiante.
Come l'idea possa farsi marmo, fissando la bellezza di una storia cosi' abusata .Come dei versi potessero passare con la stessa purezza ,la stessa luminosita' in un pezzo di pietra.
Forse la scultura antica non avrebbe potuto essere altrettanto entusiasmante, altrettanto luminosa:
era l'idea stessa della sorpresa ,del turbinare delle cose e della luce, il restare li' a bocca aperta davanti a una scena non umana,un senso profondo di tetralita' estrema e nello stesso tempo di coinvolgimento immediato di tutti i sensi,la percezione di una bellezza entusiasmante : il barocco?

lunedì 6 agosto 2007

LABIRINTI


Mettevo a posto poco fa dei libri (un'estate particolarmente calda mi aveva spinto in una recrudescenza di masochismo senile, a dipingere una intera stanza) quando uno mi e' caduto di mano :il mondo che ho visto, di Mario Praz....immagini e pensieri davanti a citta' e cose del mondo, a volte un po' noioso, decisamente snob e con la puzza sotto al naso, ma a tratti cosi' reale, quasi un altro ego.
(Anche la mia raccolta di fotografie l'avevo chiamata "il mondo che ho visto", del tutto dimentico di quel libro.)
Ho sempre guardato ai cataloghi come a una porta aperta su mondi nuovi e strani, labirinti in cui scoprire meraviglie inattese. Ricordo che quando al liceo il professore di greco criticava con asprezza la mania dei bibliotecari di Alessandria , mi dava fastidio la sua mancanza di quel senso di avventura che si puo' avere aggirandosi in una biblioteca o semplicemente in una libreria dove non c'e' l'addetto a cui chiedere: mi dia questo o quello.
Lasciare che l'occhio venga attratto da una copertina, da una parola, dalla fotografia dell'autore, o da una certa luminosita' che sembra a volte emanare da un titolo che attrae il nostro sguardo gia' da quando siamo lontani e non vediamo che una macchia di colore indistinto e sappiamo gia' che quel libro sta aspettando noi e ci gettiamo sicuri con la mano tesa ,curiosi di vedere cosa il destino ci stia offrendo.
So bene ormai che quelli sono i libri che occuperanno gli scaffali bassi delle mie librerie, quelli che sfogliero' ancora nel tempo .Come so che se ho passato ore in una libreria per decidermi, quelli non mi piaceranno, non lasceranno tracce visibili, come le ruote di un carro su una antica strada; quelli spariranno nella memoria profonda e presto verranno cancellati per dare piu' spazio alle cose nuove.
Eppure queste scelte avvengono sempre in modi misteriosi e incomprensibili :perche' l'occhio cadde sulla Richerca del tempo perduto e anni dopo una qualche intuizione assurda mi aprì l'incredibile mondo di una Carolina Invernizio?
A volte questi percorsi possono essere tracciati, ma spesso il labirinto ci gira intorno, a noi che crediamo di aggirarci nelle sue strade. E mondi nuovi si aprono ,inspiegabili.

giovedì 12 luglio 2007

CITAZIONE



Foster- Passaggio in India

..."La vita non ci da' mai le cose giuste al momento che ci sembra piu' opportuno.Le avventure arrivano ma spesso troppo tardi...."

lunedì 9 luglio 2007

L'APPARIZIONE DEL DIO


..."Quando non c'e' ancora la luce divina,ma non e' piu' tutto scuro,
e un lieve chiarore percorre la notte
(gli uomini appena svegli lo chiamano crepuscolo)
allora, distrutti dalla fatica, entrarono nel porto dell'isola,
deserto, e sbarcarono a terra.
E ad essi apparve, improvviso, il figlio di Latona che,
dalla Licia, andava lontano,
verso l'infinita moltitudine degli Iperborei.
Mentre avanzava, s'agitavano sulle sue guance,
come grappoli d'uva, i riccioli dorati ;nella sinistra
portava l'arco d'argento e sulle spalle pendeva la faretra.
Tutta l'isola ,silenziosa, si scuoteva sotto i suoi piedi
e le onde inondavano il suolo.
Alla sua vista quegli eroi furono presi da sgomento e da stupore; nessuno
osava guardare di fronte,negli occhi belli del dio.
Stavano fermi, col capo chino a terra
e Apollo passo'
verso il mare, lontano nell'aria...."

La prima volta che lessi questo brano fu qualche anno dopo aver lasciato il liceo. Apollonio Rodio (terzo secolo avanti Cristo...mi sembra di ricordare) mi aveva sempre intrigato con le sue storie piene di fatti e di personaggi, ma non lo avevo mai letto.Anche allora veniva considerato un autore della decadenza e quindi trascurabile anche in un liceo classico di vecchio stampo.Lessi le Argonautiche quando un amico curo' il commento a una nuova traduzione in formato economico.
Era il tempo in cui leggevo nelle biblioteche , o rubavo i libri nelle librerie...in attesa di guadagnare qualcosa con quella benedetta inutile laurea che avevo preso.
L'apparizione di Apollo, all'alba, che lascia sgomenti gli argonauti mi lascio' senza fiato.La terra che trema, le onde del mare che per qualche istante la ricoprono, il dio che passa senza degnare di uno sguardo quei guerrieri spaventati.Altro che divinita' morenti con gli occhi al cielo, sempre come in un quadro di Guido Reni! Ma nemmeno i cieli che si aprono ,trombe, lampi di luce sfolgorante, angeli con frecce d'oro che sorridendo ironici trafiggono povere monachelle in preda ad attacchi di isteria sessuale....No...solo dei riccioli biondi e un arco d'argento nella luce incerta dell'alba.
Nessun contatto, nessuno sguardo negli "occhi belli del dio". L'indifferenza della divinita', la sua grandezza e il mondo che trema sotto i suoi piedi:solo stupore.
Come davanti alle cose belle.

domenica 1 luglio 2007

THE WORLD I HAVE SEEN


Potrei dire di avere viaggiato molto : attraversai l'Europa quando ancora si usva l'autostop e si poteva dormire nei giardini pubblici di Budapest o nei sottopassaggi di Vienna.Poi venne il periodo del medio oriente con i bagni nel Nilo , la visita alla valle dei re su un asino, i deserti della Siria attraversati su un autobus locale, le prime dune ai piedi dell'Atlante, Petra sotto la luna quando c'era solo un piccolo albergo affollato di studenti di mezzo mondo con gli zaini, e poi il Sinai attraversato con una carovana di cammelli,Saana , e piu' in la' il passo Kyber e le pianure dell'Afganistan, come in un libro di Kipling.
E l'India in autobus, con le gabbie di polli sotto i piedi, il Mekong su una giunca, e Singapore e Hong kong con la mia prima macchina fotografica decente.A Saigon e in Cina da poco aperte ai turisti, e Angkor Vat con l'esercito che mi scortava con i fucili.Poi vennero le desolazioni della Mongolia, le steppe dell'Asia centrale, Mosca e San Pietroburgo sotto la neve anche se era gia' Pasqua.E Ceylon e l'Indonesia quando non ci si faceva il viaggio di nozze. E il treno piu' veloce del mondo, quando c'era solo in Giappone, e le Hawaii e Meroe, il Nilo bianco e il Nilo Azzurro,Karthoum e le valli dell'Etiopia.
Poi vennero le Americhe, in macchina attraverso gli Stati Uniti, autobus in Messico, a piedi sulle Ande, all'isola di Pasqua.
Eppure di tutti questi luoghi attraversati solo alcuni restano fissi nella memoria profonda, quella memoria che trattiene porte aperte per un istante, passaggi verso la consapevolezza di un senso diverso della vita: la bellezza di una piazza rossa totalmente vuota, a Mosca, di notte e sotto la neve ;l'improvvisa, sbalorditiva angosciosa apparizione oltre la porta dell'affollatissimo autobus locale della grande piramide; il vecchio ponte di Galata al tramonto o la Central Station di New York avvolta da una tormenta improvvisa di neve,un tramonto tra le Piramidi di Meroe,i grilli nei giardini del Taj Mahal.
Eppure ci fu un momento in cui una di quelle porte resto' aperta per interminabili minuti quando potei guardare un mondo nuovo con occhi nuovi.Occhi pieni di orgoglio ,semplicemente di appartenere a questa razza umana e di essere li', solo a sentire la sua musica.
Era nel deserto tra l'Egitto e la Libia, quello che chiamano il Grande Mare di Sabbia. Piu' avanti sarei arrivato all'oasi di Siwa sulle tracce di Alessandro e dell'armata perduta di Cambise.
Il sole scendeva su un'infinita distesa di dune arancione.
Per tutto il tempo di un tramonto: nelle orecchie il Requiem di Mozart.

domenica 24 giugno 2007

L'ALTOPIANO


Non avevo mai visto un cielo cosi' grande e cosi' rotondo.
Gli altopiani centrali dell'Anatolia erano un mare di rocce e di erba secca in cui ero stato inghiottito chissa' in che punto del viaggio.
Il cielo incombeva su tutto e la terra era come limitata a dove poggiavano i miei piedi.Un senso di stordimento e di vuoto,quasi di essere schiacciato , ma nello stesso momento l'intuizione del potersi sollevare in alto in un qualche modo .
Una vecchia fotografia in bianco e nero che mi riporta, decine di anni dopo ,gli occhi umani di quella capra che mi fissavano ancora e il vento profumato che mi gettava i capelli in faccia.

Per anni a venire quella porta che si era aperta mi faceva ripetere: quando tutto manca, voglio fare il pastore in Anatolia!
Giacomo L. sarebbe stato contento, ma forse come lui, non avrei resistito al puzzo delle pecore e ai sassi sotto la coperta....quando si e' giovani il mondo appare molto piu' sopportabile e fascinoso...anche un mondo nuovo.

Ma la sensazione di quella sera sta ancora tutta nella vecchia fotografia, madeleine in bianco e nero certamente.

giovedì 21 giugno 2007

ANATOLIA CENTRALE


DA UN DIARIO DI VIAGGIO-4 agosto 1971 (avevo 23 anni)
".....Arriviamo a Yozgat verso le cinque del pomeriggio.Il sole e' gia' basso;l'aria pulita,la polvere nelle strade e' gia' azzurra.Sembra un pomeriggio di gennaio dalle nostre parti quando il cielo e' limpido e il vento freddo spazza le strade.
Attraverso la grande vetrina di un ristorante alla buona,una coppia di minareti si alza da una cupola nera;le case sono basse, semplici,dalle linee pulite.La grande strada fuori e' piena di gente che non fa niente.Se ne sta seduta sui marciapiedi,al bar, chiacchierando poco e gurdandosi in faccia.Ogni tanto una folata di vento fresco alza una piccola nuvola di polvere che diventa subito dorata.Lontano delle montagne brulle.Dei ragazzini ci guardano sorridendo al di la' del vetro.Sono faccine rosse, dagli occhi piccoli e sorridenti...Saliamo verso le montagne.Il sole scende molto lentamente in un tramonto che sembra non avere fine.Per tutta la salita e' un susseguirsi di ocra,bruni,dorati,rosa e gialli.Su tutto un cielo aperto, immenso ;grosse nuvole vi si perdono immobili e pesanti.Tutte le linee sono curve,ogni pietra, ogni profilo, ogni cespuglio appare come disteso, esploso,aperto....un paesaggio che pare sul punto di contrarsi,espandersi e aprirsi.E' una sensazione enorme di movimento quella che provo, eppure "sento" l'immobilita' spaventosa di ogni pietra ,di ogni filo d'erba, di ogni nuvola.Erba secca,giallastra e dura.Il sole e' basso, finalmente.A ogni curva l'orizzonte si allarga,le montagne scendono verso il basso e si aprono nuove valli aride e brulle.Su una parte,sui sentieri bianchi coperti di polvere azzurra,nell'ombra, capre e pastori ci guardano assolutamente indifferenti passare sul sentiero sassoso....compare qualche campo lavorato...a un tratto un cigolio ,uno scricchiolio ci viene incontro.A una curva incontriamo un carro di fieno trainato da due buoi,con le ruote a disco pieno e il giogo posto sul collo delle bestie.Quel cigolio risuona per chilometri e chilometri sempre piu' forte. Arriviamo a Buiakkale con i carri di fieno al ritorno dai campi....all'improvviso si apre davanti a noi la piazza.Tutto intorno case basse,tutte bianche,i tetti di tegole scure, La porte e le finestre aperte al fresco della sera.la gente passa lentamente tornando dai campi.I carri a ruota piena, le capre, i branchi di oche, le vacche e le pecore,tutti insieme tornano a casa.Si sente odore di stalla,di fieno, di legna accesa.
C'e' un silenzio strano,solo qualche muggito e qualche raglio,non ci sono grilli o cicale.Il rumore dei passi sulla salita e' chiaro e distinto.Un piccolo albergo, l'Atila Hoteli ,di proprieta' di un piccolo orfano, ma gestito da tutto il villaggio che si preoccupa del suo futuro.Abbiamo una piccola camera tutta di legno con una finestra dai vetri impiombati che da' sulla piazza.Ci riempiono un lume a petrolio e ci indicano il bagno, comune a tutto il villaggio, in un angolo della piazza.Non ci sono letti .Stendiamo a terra qualche coperta e usciamo a fare una passeggiata.Saliamo per strette stradine lastricate di pietre grigie e lucide.Di tanto in tanto si apre una porta , su una stalla ,su un cortile dove un mucchio di fieno giallo, una vite verde su un muro danno un violenta nota di colore a quel paesaggio che diventa sempre piu' in bianco e nero.La gente sorride, ma brevemente,un gesto di saluto e poi torna alla sua serieta'.Una gravita' senza preoccupazione, una serieta' non forzata da una vita di stenti,ma innata, antica,che rende ancora piu' prezioso, me ne rendo subito conto,quel sorriso.La salita prosegue ;una fontana versa nelle brocche in fila dell'acqua gelata per la cena.Arriviamo a un grande spiazzo,su,in cima al colle,sul paese.Intorno montagne e valli si fanno d'un azzurro sempre piu' cupo.La spianata e' piena di carri,di buoi, di mucchi di grano e fieno.Delle donne battono il grano vicino a uno stagno, con delle lunghe pertiche.Dalla collina vicino sta sorgendo una luna piena enorme,luminosa.Un ragazzino sporco e cencioso mi offre un coccio. Un frammento ittita con una testa di cavallo.Qualche moneta ed e' mio....ci offriamo di aiutare a caricare un carro, ma un gesto maldestro e G. viene colpito sulla bocca da un forcone. sanguinante torna in albergo. Resto solo tra l'ilarita' generale suscitata da ogni ripetizione ,ai nuovi arrivati, del racconto dell'incidente e della fuga precipitosa del mio amico.Mi mostrano una moneta: e' romana e per non deludere il ragazzo che me la vuole vendere gli chiedo di portarmela in albergo per guardarla meglio....il corteo si mette in marcia.Dopo pochi passi al lume della luna,il paese non ha elettricita',mi viene offerto un asino.Ci monto e questo vola verso la fontana.Travolto dalle risate di tutto il villaggio il povero turista, capitato chissa' come lassu', riprende la su passeggiata.Mi fanno capire a gesti che li' arrivano solo dei commercianti, una volta alla settimana e che per uno ,due mesi, alcuni archeologi lavorano ogni anno a ripulire le mura della citta' .Hattusas e' ancora sepolta dal tempo.
In stradine buie,in cortili bianchi illuminati ormai da una luna piena che trionfa su tutto,in stalle che cadono in rovina,alla luce di una lucerna ad olio portata da una ragazzetta con le trecce che si tiene in disparte,in un silenzio fresco e profondo, passano per le mie mani vasi e tavolette di argilla, figure di re e di guerrieri,citta',torri e porte,iscrizioni e figure di dei morti da millenni.Un mondo sepolto esce dalle stalle ,dai cenci e dalla paglia in cui era stato nascosto,per brillare un attimo alla luce della luna nelle mie mani.Tremo dall'emozione.Passo le dita su un pezzo di vaso di pietra a figure di guerrieri.Un dio mi guarda da un sigillo di terracotta su cui i secoli non hanno potuto cancellare la sottile corona di foglie che lo circonda.
Torno all'albergo, dove per un po' contratto il dio circondato dalle fogle.Un lume a petrolio brucia silenziosamente sulla parete di legno scuro.La luna e' alta e il paese silenzioso. Andiamo a letto.Nella stanza accanto russano quelli che il piccolo proprietario ha appena definito dei "mercanti".
Sulla mia testa ,dalla finestra,tra i piccoli vetri piombati appare ancora la luna,frammentata come in un gioco di specchi,immensa, splendida...sorridendo".

martedì 19 giugno 2007

I SOGNI SON DESIDERI?


Avevo quasi vent'anni quando feci il mio primo viaggio in Turchia.
Conoscevo poco del mondo intorno a noi (solamente Londra in effetti, come si "portava" a quei tempi e dove avevo fatto,ovviamente, il cameriere per un'intera estate prima di iscrivermi ad architettura).
Per mesi pero' avevo letto la Storia della decadenza e caduta dell'impero romano di Gibbon (c'e' niente di piu' snob da dire di avere letto?) e finanche il cerimoniale di corte di Costantino Porfirogenito in una terribile traduzione greco-latino aveva avuto infiniti pomeriggi della mia attenzione in una Biblioteca quasi sempre deserta....
(al liceo non ero bravissimo "avrei potuto fare molto di piu'", ma il latino lo capivo bene...anche senza vocabolario a volte, come si usava a quei tempi di insegnanti che ci facevano tradurre dal greco al latino e viceversa e dove anche i peggiori della classe ricordavano a memoria intere pagine dell'Eneide)
Anche quello un mondo nuovo ma gia' perduto che mi affascinava.
Arrivai in Turchia in piena estate, con una cinquecento carica di bagagli e due amici.
Quando vidi le mura di Istanbul, o ,come preferivo chiamarla allora, Bisanzio, mi vennero le lacrime agli occhi.
Un ragazzo cosi' sensibile!
La citta' mi impressiono' molto, ma conoscevo poco del mondo intorno a noi.
La sua aria di grande accampamento precario che si aggrappava a poche pietre fisse( santa Sofia, il ponte di Galata,la moschea blu) mi piaceva, mi piaceva quel senso di abbandono delle cose , di sorriso ironico sul mondo .
un ragazzo davvero intellettuale allora!
Restai affascinato da tante cose ....una delle mie fotografie preferite mi fu fatta sul vecchio ponte di Galata, quello su cui secoli fa c'erano terribili ristorantini e tanti caffe' tra i pedoni e le macchine....ci passavano ancora i cavalli e i muli.....

Siamo sicuri che oltre la sponda non ci sia ancora l'impero ottomano?

A volte una foto, brutta, insignificante,ha lo strano potere di fermare il tempo e con esso l'intensita' dei desideri.
A volte in immagini sbiadite si aprono delle porte verso mondi nuovi ,porte che restano stranamente aperte nello scorrere del tempo.
Per anni il mio desiderio piu' grande fu quello di fare il cameriere in uno di quei caffe'....e guardare il sole tramontare sui minareti di santa Sofia,ogni sera.

mercoledì 30 maggio 2007

CITAZIONE


"otto di giugno -mercoledi' "
Mille piccoli fastidi,piccole incertezze,piccole paure che vanno e vengono come una tenda mossa dal vento sul balcone spalancato.Incertezze che complica l'ora che deve ancora passare;vampate di angoscia che devono essere fermate ed espresse per trovarne le cause, ma che per questo non sono meno pesanti.
E in tutto questo il Tempo che corre con ritmi indecifrabili ,con regole che sfidano continuamente la ragione, strisciando in pomeriggi interminabilmente lunghi e in anni incredibilmente brevi.E tutto si ripete sempre uguale, a intervalli sempre diversi,ma con gli stessi sensi di inutilita'.E questo ripetersi, pur nella consapevolezza del gia' visto,del gia' vissuto, si ripropone ogni volta con le stesse intensita',con la stessa soffocante impossibilita' a gestirlo, a controllarlo.
Controllare il Tempo, conservarne la memoria. Ma ogni ora sembra nuova, inconosciuta, come se la memoria delle angosce gia' vissute e ripetute non esistesse;come se i pensieri, i fatti,potessero ferirci ogni volta a fondo, anche se li riconosciamo subito.
Come quando un profumo ascoltato in un momento di felicita' non sia capace di suscitare in noi quella stessa felicita' ogni volta,ma solo l'angosciosa certezza che quella felicita' e' finita ....quei profumi che vivono fuori di noi e ci assalgono improvvisi,inaspettati ,a riempirci sempre, appena la ragione li riconosce, di angosce.
Datemi un mondo vuoto,vuoto"

domenica 27 maggio 2007

UN MONDO NUOVO


la prima volta invece che feci caso a questa definizione in un modo un po' piu' "intrigato" di quanto si faccia studiando la colonizzazione delle Americhe (ma quello era il nuovo mondo....cosa fa la posizione di un aggettivo !) fu studiando al liceo le opere di Tiepolo. Avevo sempre preferito GianBattista ...GianDomenico mi sembrava troppo banale, troppo terrestre...eppure sul libro un suo affresco mi turbo'. Si chiamava Il Mondo Nuovo e rappresentava un gruppo di cittadini che guardavano una lanterna magica in riva al mare...niente di strano in fondo...le lanterne magiche erano cose comuni alla fine del settecento e forse ogni fiera ne esibiva una...anche con le immagini di quel mondo di cui tanto si parlava,il mondo nuovo...
pero' la maggioranza delle figure guarda verso il mare, e sono tutte di spalle...e sul mare non c'e' nulla, solo un orizzonte infinito e un cielo vuoto.
Che guarda tutta quella gente?
o ,forse...dove va?e perche' mai quel titolo cosi' strano ,in una piccola villa della campagna veneta?
era un tempo quello in cui i sogni, i miei, erano ancora pieni di aspettative e di "sorti magnifiche e progressive."

sabato 26 maggio 2007

SASKATCHEWAN

La prima volta che sentii questo nome ero un ragazzino che andava al cinema da solo...Forse ero al ginnasio...o forse anche prima,non me lo ricordo...o era una di quelle sere, molto piu' tardi, quando cercavo alla televisone dei vecchi film?
Era un film con Alan Ladd che non mi era mai piaciuto al cinema...
Stranamente mi era rimasta impressa piu' lei, Shelley Winters(piu' una mamma grassottella che un'eroina del selvaggio west)...me la ricordavo con un vestito azzurro.... ed era proprio azzurro quando la rincontrai di nuovo, trent'anni dopo.
il film aveva un titolo impronunciabile, ma che mi rimase nella memoria (chissa' perche' questa memoria selettiva che fa dei nostri ricordi quello che vuole in modo assolutamente imprevedibile, lo aveva fissato in qualche parte...):Le giubbe rosse dello Saskatchewan.

Allora avevo solo una vaga idea di dove fosse e l'antipatia suscitata dall'attore principale non mi aveva concesso di localizzarlo oltre un vaghissimo Canada...o Canada' come dicevo allora credendo che il francese si parlasse dappertutto.